giovedì 31 maggio 2012

Disintegrare i pregiudizi. Discutendo ‘Noi domani’ di Vinicio Ongini

Gli incontri di “Riforma”
Bijoy M. Trentin

Il viaggio che Ongini delinea in ‘Noi domani’[1] è non solo un itinerario fisico e statistico, ma anche e soprattutto un viaggio metaforico, nomade, finalizzato alla sopresa e allo spaesamento continuo, poiché permette di incontrare «l’ignoto, il diverso da noi, direttamente a casa nostra» (p. XVIII): è, dunque, un viaggio avventuroso e coraggioso, si tratta, in realtà, di una vera e propria esplorazione: Ongini ‘si fa’ e ‘è’ pioniere.

Ma chi è lo straniero a scuola? Molte possono essere le risposte possibili, ma per noi è straniero a scuola chi intende l’educazione e la pedagogia in un’ottica semplicistica, che riproduce e riduce tutto agli stereotipi, al senso comune o al buon senso: anche una scuola può essere straniera, se non è progettuale, se non è inclusiva. Di segno contrario, sono gli incontri di Ongini: questi mettono in luce le cosiddette “buone pratiche”: il messaggio è quello dell’acquisizione della consapevolezza di quanto la scuola italiana ha fatto, sta facendo e è in grado di fare per la democratizzazione dell’Italia. L’incontro etno-antropologico e lo sguardo sociologico non possono che confrontarsi direttamente con la realtà: emergono cosí le capitali dimensioni dell’‘osservazione’ e dell’‘ascolto’, imprescindibili in ogni tipo di discorso pedagogico e didattico scientificamente fondato e fondativo. È De Mauro, nell’introduzione, a ricordare che «se un rimprovero si può muovere alla nostra scuola è che non sempre essa è ben consapevole di quanto ha fatto, sa fare e fa per l’intero Paese» (p. X).

All’indistinzione del ‘melting pot’ (cioè del calderone) e all’affermazione del principio di separazione del ‘salad bowl’ (cioè dell’insalatiera), si prediligono le «logiche meticce», per dirla con Jean-Loup Amselle: il ‘métissage’, meticciato o meticciamento non si annulla nell’assimilazione, non è un adattamento univoco, ma è la comprensione della fluidità e dell’ibridazione di varie e numerose identità. Ogni persona possiede e rappresenta tante identità insieme: Amartya K. Sen scrive: «La stessa persona può essere, senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana, di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, storica, insegnante, romanziera, femminista, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz, e profondamente convinta che esistano esseri intelligenti nello spazio con cui dobbiamo cercare di comunicare al piú presto (preferibilmente in inglese)»[2].

Allora è immediatamente evidente che è necessaria la disintegrazione: bisogna súbito disintegrare tutte le teorie e le idee distorte rigide e immobiliste sulle persone e sui gruppi sociali: con gli strumenti della gentilezza e della non-violenza, è indispensabile arginare e eliminare ogni pregiudizio: è la lezione del poliedrico illuminismo francese, quello variegato di Voltaire, quello controverso di Diderot, quello prospettico di Montesquieu, quello eterodosso di Rousseau.

Ma c’è sempre chi tenta di rendere la scuola straniera a sé stessa: è chi propone di non far partecipare gli alunni di recente immigrazione e quelli disabili alle prove e valutazioni INVALSI, e è anche chi, come il leghista Roberto Cota, propone, per gli studenti che non hanno ancora una piena dimistichezza con l’uso linguistico italiano, una «discriminazione transitoria positiva»: la purezza, insomma, non va intaccata! E ulteriori espressioni, anche piú colorite, provengono ancora dai leghisti: nel settembre 2011, in séguito agli sbarchi dei migranti africani a Lampedusa, è Angela Maraventano, senatrice leghista (appunto) e vicesindaco dell’isola, a dichiarare: «Chiederò al Governo il loro allontanamento dall’isola, poiché sono le associazioni umanitarie che, venendo a vedere come li trattiamo e come non li trattiamo, fomentano questi delinquenti e ne sostengono le battaglie». E il sindaco stesso, Bernardino De Rubeis afferma che i minori africani «in realtà non sono minori, poiché hanno 16 o 17 anni e sono ben dotati, pertanto dobbiamo stare attenti altrimenti ce li ritroviamo nelle camere da letto»[3]. Insomma, l’esaltazione e la fiera dei pregiudizi!

In questo clima sociale e politico, i progetti interculturali a scuola sono allora radiosi «segnali di futuro»: sono sfide insieme pedagogiche, esperienziali e esistenziali. E l’intercultura si staglia nell’ancora piú ampio cielo della transculturalità, che è in grado di attraversare le culture: il suo senso sta proprio nell’esperienza del continuo oltrepassamento dei confini: non c’è una meta, o, meglio, l’obiettivo è quello di non avere una meta da raggiungere una volta per sempre. Secondo Franca Pinto Minerva, «si tratta di un’idea regolativa che si fonda sul riconoscimento dell’‘appartenenza’ alla comune specie umana e alla comune terra-madre. Un’idea che si realizza attraverso la condivisione di un progetto di ‘cittadinanza planetaria’ sorretta dai princípi e dai valori di un’etica cosmica»[4]. Cioè, vedere e sentire ‘cose’ diverse può portare a vedere e sentire ‘in modo’ diverso: è la fatica continua necessaria a costruire un mondo sempre nuovo, con un’instancabile tensione al dialogo e al confronto.

Ongini, cosí, ‘diviene’ un mescolatore, un contaminatore. Dalle sue esperienze apprendiamo che «la coabitazione interetnica contribuisce a generare spaesamento e conflittualità, ma apre inevitabilmente nuovi àmbiti relazionali, nei quali si sperimentano inedite pratiche di apprendimento e di socialità» (p. 66). Dunque, se «le diversità, ‘tutte’ le diversità, possono essere fonte di ‘guadagno’ cognitivo e di crescita per tutti» (p. XV), «la presenza di bambini figli di immigrati stranieri può essere [anche] un ‘evidenziatore’ per i nostri modelli e stili educativi. Un’occasione per rivedere i nostri comportamenti e ridare significato al fare scuola nel nostro tempo» (p. 90). In una scuola secondaria di primo grado di Genova lo studio del ‘latino’ è divenuto uno sfondo integratore, perché «ha offerto agli alunni un ‘altrove’ comune da dove ripartire insieme, al di fuori degli stereotipi personali e degli schemi tradizionali delle lezioni. […] Un ‘altrove’ signific[a] anche riscatto». Invece, nel noto quartiere di Ballarò, Santa Rosalia è divenuta persino l’«avatar» della dea Kalí. Oppure, sempre in Sicilia, nella periferia palermitana, vi è una scuola dove «l’idea del preside [Giampiero Finocchiaro], la sua visione dell’educazione, è che la scuola stessa deve essere un laboratorio, i ragazzi devono uscire dagli schemi, dalla fissità della ‘scatola classe’, devono muoversi da uno spazio all’altro, devono ‘viaggiare’ anche all’interno della stessa scuola, oltre che fuori dalla scuola. L’Istituto è [anche] ‘in rete’, in contatto con altre 50 scuole» (p. 162): l’aspetto che attrae di piú la nostra attenzione è l’esaltazione del valore della bellezza: il motto lí è «Non c’è educazione senza il senso del bello» (p. 160): dagli edifici alle relazioni, tutto deve esprimere un’idea di solarità: il bello, dunque, è divenuto un forte elemento aggregativo e propulsivo delle identità, sempre mobili e ridefinibili.

Con la delicatezza dell’antidogmatismo e dell’antiautoritarismo, Ongini ha delineato in una prospettiva problematica e speranzosa, un quadro composito e complesso cosí riassumibile: «Le “etnie” in una scuola non esistono e forse non esistono in generale […]: ci sono le persone, i gruppi, le famiglie, tante provenienze e tante storie diverse» (p. 5).

 

NOTE

[1] Vinicio Ongini, ‘Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale’, Roma-Bari: Editori Laterza, 2011. Questo testo è stato letto, con alcuni tagli, nel corso della presentazione del libro, organizzata da “Riforma della scuola”, Casadeipensieri e laFeltrinelli-Librerie (Bologna) il 29 Febbraio 2012: sono intervenuti, con l’autore, Rosanna Facchini, Luigi Guerra, Ilaria Venturi.

[2] Amartya K. Sen, ‘Identità e violenza’, tr. it. Roma-Bari: Editori Laterza, 2006.

[3] Http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cacciamo-le-ong-da-lampedusa/2161916.

[4] Franca Pinto Minerva, ‘L’intercultura’, Roma-Bari: Editori Laterza, 2007, p. 15.

 

 
"Riforma della scuola" n°14

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