sabato 30 giugno 2012

Nussbaum e l'educazione. Una lettura di “Non per profitto” e di “Creating Capabilities”


Mattia Baglieri

Martha Nussbaum è una filosofa americana, nata a New York nel 1948, insegna alla Law School di Chicago. Filosofa politica classica di formazione, ha fondato insieme ad Amartya Sen (Premio Nobel per l’economia nel 1998) l’approccio basato sulle capacità, il cosiddetto Capabilities Approach, una teoria di carattere liberale individualistico che – su radici filosofico-politiche care a John Rawls – si propone il potenziamento delle capacità degli individui sia nei paesi in via di sviluppo sia nei paesi più affluenti.
Caratteristica cardine delle capacità care a Sen e Nussbaum, sono le politiche educative, da intendersi con una connessione specifica ad un apprendimento che si dipani lungo tutto il corso della vita (il cosiddetto Lifelong Learning), il quale deve prevedere un adeguato bilanciamento tra competenze di carattere etico-umanistico e di carattere tecnico-vocazionale di avviamento alla professione. Sen, come ha sottolineato la Commissione svedese che gli ha assegnato il Nobel per l’economia, intende le politiche formative quale “libertà” alla base della fuoriuscita dalla povertà, raggiungimento di un livello il più esteso possibile di welfare, empowerment della donna, potenziamento della sicurezza individuale ed internazionale e riduzione del numero delle nascite con conseguente migliore allocazione delle risorse disponibili.
Tra 2010 e 2011 Martha Nussbaum ha pubblicato due libri scritti di suo pugno ed un libro edito insieme al giurista Saul Levmore, “The Offensive Internet” (una approfondita critica al potere dei media ed in particolare della rete). I due volumi pubblicati da Nussbaum sono “Non per Profitto” (2010, edito in Italia dal Mulino e con una prefazione di Tullio De Mauro) e “Creating Capabilities” (2011, pubblicato dalla Belknap Press dell’Università di Harvard e non ancora tradotto in italiano). I due volumi si prestano ad una lettura congiunta relativamente al primato delle politiche educative, in quanto entrambi fanno riferimento ad una fuoriuscita dalla crisi economica a partire da un corredo educativo che punti su un proporzionato equilibrio dell’educazione tecnica e di quella umanistica, le quali vanno giocoforza accompagnate ad un’educazione valoriale alla democrazia, alla complessità ed alla libertà. In particolare in “Non per profitto” Nussbaum ha evidenziato la necessità di far leva su un’educazione alla Simpatia tra gli individui e tra i popoli al fine di progredire sulla strada del dialogo e della comprensione reciproca. Il volume presenta diversi studi scientifici sulla base dei quali si evince un riflusso nella qualità della democrazia qualora si punti eminentemente ad un’educazione di carattere tecnico ed industriale, negando agli studenti le possibilità espressive legate alle arti umane (emblematici i casi indiano ed americano). In particolare, puntare su un’educazione di marca realmente interculturale significa criticare un modello realista nelle relazioni individuali ed internazionali, tanto cari a pensatori quali Samuel Huntington.
A dire di Nussbaum, non esiste solo uno scontro tra le civiltà, ma ancor più occorre partire da un depotenziamento dello scontro “dentro alle civiltà”, sulla base della possibilità data agli uomini di valorizzare la facoltà di “mettersi gli uni nei panni degli altri”. Imprescindibile la tematica della qualità dell’integrazione delle persone disabili, con riferimenti precipui alle leggi americane No Child Left Behind Act (2000), Individuals With Disabilities Education Act (1990) e Individuals With Disabilities Education Improvement Act (2004), su cui Nussbaum si sofferma per evidenziare come anche nel caso delle persone disabili si debba far leva su una formazione completa e ‘modellata’ sulla base delle potenzialità di ogni individuo, a posteriori rispetto ad una “affirmative action” in capo alle autorità statali.
Come ha evidenziato Tullio De Mauro nella propria prefazione a “Non per profitto”: “La storia recente del mondo […] obbliga i sistemi educativi che vogliano formare cittadini responsabili e non sudditi e vittime della speculazione a mettere in conto come asse portante delle scuole la conoscenza e comprensione dell’altro, del lontano nello spazio e nel tempo. È qui anzitutto che si innestano le ragioni educative generali di una formazione alla conoscenza geostorica non meramente cronachistica o erudita, ma di taglio antropologico e critico, e le ragioni della presenza di quei classici che sono portatori eccellenti di visioni del mondo che hanno condizionato alle radici la nostra cultura”.
Altrettanto importante è “Creating Capabilities”, proposto come un’introduzione all’approccio delle capacità per il largo pubblico. È di gran lunga attuale, infatti, in tempi di recessione economica e morale ricordare la necessità di riscoprire valori di libertà e legati alle potenzialità degli individui, elementi basilari per qualsivoglia concezione di sviluppo e crescita declinati responsabilmente. Dopotutto come la Nussbaum mette in evidenza “tutti gli Stati sono paesi in via di sviluppo” (p. X, traduzione, come quelle che seguono, mia), se è vero che una “messa in sicurezza” del corredo dei diritti umani è lontana dall’essere raggiunta e garantita a livello internazionale.
L’autrice parte dal fatto che l’approccio delle capacità si basa sulla domanda: “Che cosa una persona è in grado di essere e di fare?” (p. 20). Esattamente in questa direzione, assieme a Sen, la Nussbaum intende le capacità come libertà ed opportunità determinate da un’unione delle abilità personali con i sistemi politici, economici e sociali. Nussbaum non si sottrae a porre in risalto elementi di differenziazione scientifica del suo approccio con quello dell’economista Sen, pur facendo riferimento sui punti in comune, tra i quali – appunto – quello di assegnare una priorità alle capacità alla base dello sviluppo e della fioritura delle altre (per esempio l’educazione che crea riduzione delle nascite e migliore sicurezza). Tuttavia, a differenza dell’approccio aperto ed onnicomprensivo di Sen, Nussbaum conferma la necessità di una lista di dieci capacità fondamentali (le cosiddette “core capabilities”), le quali sono evinte dalla lunga tradizione del pensiero politico occidentale e non occidentale.
Il capitolo 3 riveste particolare interesse, in quanto l’approccio delle capacità è delineato come “contro-teoria necessaria” contro gli approcci meramente economicistici (per esempio l’approccio basato sulle performance del Prodotto Interno Lordo) o utilitaristici à la Bentham. In questo libro Nussbaum traccia una complessa mappatura storico-dottrinaria della filosofia politica alla base dell’approccio (dagli antichi Greci e Romani, sino agli autori più ricorrenti nella tradizione di Sen e Nussbaum – tra i quali Smith e Tagore – con il sorprendente ritorno di Thomas Paine, ma nell’assenza di John Dewey, che pure è presente in “Non per profitto”). Cionondimeno, non appare del tutto chiaro sino a che punto si debba considerare lo stesso Capabilities Approach una dottrina politica contemporanea. Su questo punto gli studiosi del vecchio continente sarebbero interessati ad un approfondimento.
Ancora, Nussbaum sottolinea le sfide dell’approccio per il futuro, a partire da una ricerca sugli assetti politico-istituzionali e sugli aspetti psico-emotivi alla base della vita umana e sociale.
“Non per profitto” e “Creating Capabilities” sono, insomma, due strumenti indispensabili sulle scrivanie degli specialisti, degli studiosi, degli studenti e dei policy-makers quali contributi per il dibattito sugli argomenti cruciali che il liberalismo sociale contemporaneo ha oggi il dovere di affrontare.

“Riforma della scuola” n°14