Mattia
Baglieri
Martha
Nussbaum è una filosofa americana, nata a New York nel 1948, insegna
alla Law School di Chicago. Filosofa politica classica di formazione,
ha fondato insieme ad Amartya Sen (Premio Nobel per l’economia nel
1998) l’approccio basato sulle capacità, il cosiddetto
Capabilities Approach, una teoria di carattere liberale
individualistico che – su radici filosofico-politiche care a John
Rawls – si propone il potenziamento delle capacità degli individui
sia nei paesi in via di sviluppo sia nei paesi più affluenti.
Caratteristica
cardine delle capacità care a Sen e Nussbaum, sono le politiche
educative, da intendersi con una connessione specifica ad un
apprendimento che si dipani lungo tutto il corso della vita (il
cosiddetto Lifelong Learning), il quale deve prevedere un adeguato
bilanciamento tra competenze di carattere etico-umanistico e di
carattere tecnico-vocazionale di avviamento alla professione. Sen,
come ha sottolineato la Commissione svedese che gli ha assegnato il
Nobel per l’economia, intende le politiche formative quale
“libertà” alla base della fuoriuscita dalla povertà,
raggiungimento di un livello il più esteso possibile di welfare,
empowerment della donna, potenziamento della sicurezza individuale ed
internazionale e riduzione del numero delle nascite con conseguente
migliore allocazione delle risorse disponibili.
Tra
2010 e 2011 Martha Nussbaum ha pubblicato due libri scritti di suo
pugno ed un libro edito insieme al giurista Saul Levmore, “The
Offensive Internet” (una approfondita critica al potere dei media
ed in particolare della rete). I due volumi pubblicati da Nussbaum
sono “Non per Profitto” (2010, edito in Italia dal Mulino e con
una prefazione di Tullio De Mauro) e “Creating Capabilities”
(2011, pubblicato dalla Belknap Press dell’Università di Harvard e
non ancora tradotto in italiano). I due volumi si prestano ad una
lettura congiunta relativamente al primato delle politiche educative,
in quanto entrambi fanno riferimento ad una fuoriuscita dalla crisi
economica a partire da un corredo educativo che punti su un
proporzionato equilibrio dell’educazione tecnica e di quella
umanistica, le quali vanno giocoforza accompagnate ad un’educazione
valoriale alla democrazia, alla complessità ed alla libertà. In
particolare in “Non per profitto” Nussbaum ha evidenziato la
necessità di far leva su un’educazione alla Simpatia tra gli
individui e tra i popoli al fine di progredire sulla strada del
dialogo e della comprensione reciproca. Il volume presenta diversi
studi scientifici sulla base dei quali si evince un riflusso nella
qualità della democrazia qualora si punti eminentemente ad
un’educazione di carattere tecnico ed industriale, negando agli
studenti le possibilità espressive legate alle arti umane
(emblematici i casi indiano ed americano). In particolare, puntare su
un’educazione di marca realmente interculturale significa criticare
un modello realista nelle relazioni individuali ed internazionali,
tanto cari a pensatori quali Samuel Huntington.
A
dire di Nussbaum, non esiste solo uno scontro tra le civiltà, ma
ancor più occorre partire da un depotenziamento dello scontro
“dentro alle civiltà”, sulla base della possibilità data agli
uomini di valorizzare la facoltà di “mettersi gli uni nei panni
degli altri”. Imprescindibile la tematica della qualità
dell’integrazione delle persone disabili, con riferimenti precipui
alle leggi americane No Child Left Behind Act (2000), Individuals
With Disabilities Education Act (1990) e Individuals With
Disabilities Education Improvement Act (2004), su cui Nussbaum si
sofferma per evidenziare come anche nel caso delle persone disabili
si debba far leva su una formazione completa e ‘modellata’ sulla
base delle potenzialità di ogni individuo, a posteriori rispetto ad
una “affirmative action” in capo alle autorità statali.
Come
ha evidenziato Tullio De Mauro nella propria prefazione a “Non per
profitto”: “La storia recente del mondo […] obbliga i sistemi
educativi che vogliano formare cittadini responsabili e non sudditi e
vittime della speculazione a mettere in conto come asse portante
delle scuole la conoscenza e comprensione dell’altro, del lontano
nello spazio e nel tempo. È qui anzitutto che si innestano le
ragioni educative generali di una formazione alla conoscenza
geostorica non meramente cronachistica o erudita, ma di taglio
antropologico e critico, e le ragioni della presenza di quei classici
che sono portatori eccellenti di visioni del mondo che hanno
condizionato alle radici la nostra cultura”.
Altrettanto
importante è “Creating Capabilities”, proposto come
un’introduzione all’approccio delle capacità per il largo
pubblico. È di gran lunga attuale, infatti, in tempi di recessione
economica e morale ricordare la necessità di riscoprire valori di
libertà e legati alle potenzialità degli individui, elementi
basilari per qualsivoglia concezione di sviluppo e crescita declinati
responsabilmente. Dopotutto come la Nussbaum mette in evidenza “tutti
gli Stati sono paesi in via di sviluppo” (p. X, traduzione, come
quelle che seguono, mia), se è vero che una “messa in sicurezza”
del corredo dei diritti umani è lontana dall’essere raggiunta e
garantita a livello internazionale.
L’autrice
parte dal fatto che l’approccio delle capacità si basa sulla
domanda: “Che cosa una persona è in grado di essere e di fare?”
(p. 20). Esattamente in questa direzione, assieme a Sen, la Nussbaum
intende le capacità come libertà ed opportunità determinate da
un’unione delle abilità personali con i sistemi politici,
economici e sociali. Nussbaum non si sottrae a porre in risalto
elementi di differenziazione scientifica del suo approccio con quello
dell’economista Sen, pur facendo riferimento sui punti in comune,
tra i quali – appunto – quello di assegnare una priorità alle
capacità alla base dello sviluppo e della fioritura delle altre (per
esempio l’educazione che crea riduzione delle nascite e migliore
sicurezza). Tuttavia, a differenza dell’approccio aperto ed
onnicomprensivo di Sen, Nussbaum conferma la necessità di una lista
di dieci capacità fondamentali (le cosiddette “core
capabilities”), le quali sono evinte dalla lunga tradizione del
pensiero politico occidentale e non occidentale.
Il
capitolo 3 riveste particolare interesse, in quanto l’approccio
delle capacità è delineato come “contro-teoria necessaria”
contro gli approcci meramente economicistici (per esempio l’approccio
basato sulle performance del Prodotto Interno Lordo) o utilitaristici
à la Bentham. In questo libro Nussbaum traccia una complessa
mappatura storico-dottrinaria della filosofia politica alla base
dell’approccio (dagli antichi Greci e Romani, sino agli autori più
ricorrenti nella tradizione di Sen e Nussbaum – tra i quali Smith e
Tagore – con il sorprendente ritorno di Thomas Paine, ma
nell’assenza di John Dewey, che pure è presente in “Non per
profitto”). Cionondimeno, non appare del tutto chiaro sino a che
punto si debba considerare lo stesso Capabilities Approach una
dottrina politica contemporanea. Su questo punto gli studiosi del
vecchio continente sarebbero interessati ad un approfondimento.
Ancora,
Nussbaum sottolinea le sfide dell’approccio per il futuro, a
partire da una ricerca sugli assetti politico-istituzionali e sugli
aspetti psico-emotivi alla base della vita umana e sociale.
“Non
per profitto” e “Creating Capabilities” sono, insomma, due
strumenti indispensabili sulle scrivanie degli specialisti, degli
studiosi, degli studenti e dei policy-makers quali contributi per il
dibattito sugli argomenti cruciali che il liberalismo sociale
contemporaneo ha oggi il dovere di affrontare.
“Riforma della scuola” n°14