Il valore legale del titolo di studio e altre questioni.
Franco Frabboni
1. In un decennio è stata snaturata e precarizzata
Con
molto vigore, studenti e docenti dei nostri Atenei hanno contrastato
la legge universitaria che la Destra berlusconiana ha varato a fari
spenti con il tacito consenso della conferenza dei Rettori. Sono
provvedimenti che tuttora stanno infestando il mondo accademico di
“neoliberismo” incolto e senza futuro: inginocchiato all’altare
pagano del Privato, della Competitività, dell’Esclusione e dei
Saperi triturati in microcrediti da valutare tramite quiz. Il
Ministro Gelmini li ha cavalcati sia per derubare la sua identità
democratica
e culturale,
sia per spogliarlo degli abiti griffati della ricerca
scientifica (data
ideologicamente in mano a neofiti Atenei privati).
Indossando
una tuta aziendalista, il Ministro ha demolito a colpi di piccone
l’architettura accademica italiana: ri-centralizzandola,
gerarchizzandola e costringendo la libertà della ricerca ad
inginocchiarsi al potere economico. Per pervenire a questo traguardo
di basso/conio culturale e scientifico, il controllo politico della
Gelmini (a) ha colpito
a morte l’autonomia della cultura e della scienza; (b) ha
accelerato o
decelerato singoli settori scientifico-disciplinari: instradati su
binari-morti le aree umanistiche e su binari dell’alta/velocità
le aree
tecnologico-scientifiche; (c) ha separato la didattica
(l’insegnamento)
dalla ricerca (la produzione scientifica) avviando la metamorfosi
degli Atenei in Superlicei professionalizzanti rinchiusi nel culto
delle meritocrazia e della selezione.
Questa,
la sua pagella-in-rosso. L’Università che ha consegnato al nuovo
Governo si presenta povera e nuda, avvolta nello spettro della
serie/B europea.
.
2.
Diamo ali
all'università evitando scivoloni
Rispetto
a chi li ha preceduti sotto la bandiera del Pdl, sono ben altri i
volti - per pulizia morale e sguardo democratico - del Premier Mario
Monti e del Ministro della scuola e dell’università Francesco
Profumo. Entrambi esondano cultura, competenza, moralità, buone
maniere. Mi piacciono, anche perchè pedalano sullo stesso tandem
quando promettono consistenti finanziamenti al mondo accademico da
cui provengono: per la sua innovazione istituzionale e ordinamentale,
per la sua competitività scientifica, per la sua eccellenza negli
insegnamenti disciplinari. Sottoscrivo con convinzione questo mio
elogio.
Purtuttavia,
non posso non esprimere riserve sul tandem/virtuoso quando, con un
paio di improvvide esternazioni mediatiche, si è avventurato lungo
due viottoli apparentemente transitabili, ma di fatto cosparsi di
insidie neoliberiste - in “continuità” con le idee della Gelmini
- che potrebbero discriminare
e premiare,
con criteri arbitrari, il mondo universitario. Fino ad aprire
frontiere conflittuali tra settori accademici (tra Facoltà
scientifiche e umanistiche) e tra sedi universitarie (tra quelle
allocate al nord e quelle allocate al sud del Paese, tra mega e mini
Atenei).
Qualche
flash sul duplice scivolone del tandem/virtuoso: pericoloso agente -
a nostro parere - di divisione
e di conflittualità
nel più nobile (ma
anche più fragile) comparto della scienza e della cultura del
bel/Paese.
Uno scivolone che divide
Lo intitoliamo alla
prima
sortita del tandem/virtuoso: annuncia che la meritocrazia accademica
deve premiare i docenti che capitalizzano la loro ricerca sfornando
“brevetti”. La tesi: la ricerca
di base
(tendenzialmente di lunga durata temporale) ha il dovere di trovare
un canale “applicativo” che la converta in
gallina-dalle-uova-d’oro. Argomentazione discutibile, pur se
consapevoli che l’interdipendenza tra il prototipo e la sua
riproduzione commerciale é uno degli isterici teoremi della ricerca
contemporanea: una sorta di urlo alla luna!
Attenzione,
però. L’equazione conquista/scientifica uguale
immediato uso/ sociale (per l’innovazione industriale e commerciale
nonchè per la qualità della vita nel Pianeta) chiede alcuni
chiarimenti preliminari al fine di non relegare a “subalterni”
autorevoli campi investigativi geneticamente impossibilitati ad un
immediato uso sociale delle loro formule teoriche. Parliamo della
ricerca, di lunga durata temporale, prodotta nelle aree
umanistiche
(storica,
letteraria, artistica, filosofica, giuridica, politica, economica,
linguistica, psicopedagogica, socioantropologica et al.) che non può
avere nel proprio mirino il premio di un “brevetto”. Domanda. Per
questo, viene giudicata gerarchicamente inferiore e meno
apprezzabile? Di più. Penalizzata da minori risorse tanto da
scomparire dal monitor delle gratificazioni ministeriali? Fino al
paradosso epistemico che la scoperta di un nuovo congegno fisico o
chimico va posta sull’altare della ricerca scientifica, mentre la
fondazione di ermeneutiche “inedite” nei settori umanistici deve
forzatamente abitare nella polvere degli scantinati della casa
accademica?
Uno scivolone che discrimina
Lo intitoliamo alle parole indispettite del Presidente del Consiglio
nei confronti delle lobbies/accademiche presenti in Parlamento che
sbarrano la strada alla proposta del suo Governo di abolire il Valore
legale del titolo di studio universitario (Vltsu).
Certo,
la requisitoria seccata del tandem/virtuoso parte da una
considerazione veritiera. Questa. Nella prima decade del Secolo, il
sistema universitario italiano è stato frammentato - questa, la sua
deriva - in un numero grottesco di sedi, sotto-sedi, capanni
occasionali di insegnamento mordi e fuggi: il tutto a partire dal
nostro Mezzogiorno, da sempre tradito quanto a qualitative offerte
accademiche decentrate. Uno spettacolo avvilente, mai denunciato con
durezza né dalle cupole universitarie, né dalle forze politiche, né
dagli enti locali che plaudivano l’insediamento nelle loro
territori delle pattuglie d’avanguardia di docenti - alle prime
armi - forzatamente consenzienti anche al cospetto di contesti
surreali, privi spesso delle condizioni minime per fare insegnamento
e ricerca.
Attenzione,
però. Questo arcipelago peninsulare di mega-atenei e di piccole
isole accademiche, di accreditati ambienti di studi Secondari
superiori e di dequalificate realtà universitarie non può venire
sommerso - in modo surrettizio - da un dispositivo di Legge che
abroga il Vltsu: purtroppo auspicato anche nelle 100 proposte del
sindaco di Firenze Matteo Renzi.
Una
sorta di freccia al cianuro che potrebbe cancellare con l’acqua
sporca (la
moltiplicazione abborracciata delle sedi) anche il bambino
(le nuove geografie accademiche: il meridione, i ceti a basso
reddito, le ragazze, il settore umanistico).
Scattiamo
allora alcune istantanee sulla metafora del bambino,
dando luce ai “contesti” e ai “generi” sicuramente
penalizzati dalla soppressione del valore legale delle lauree.
(a)
Abolire il Vltsu penalizza soprattutto il mondo giovanile del nostro
Mezzogiorno. Togliere l’obbligatorietà del titolo di laurea
significa che il percorso di studio accademico verrà
discrezionalmente apprezzato da chi assumerà i giovani per concorso,
per libera contrattazione o altro. In altre parole. Sarà
privilegiata, come criterio discriminante, la sede
accademica
che
rilascia il titolo di studio, la cui autorevolezza - pubblicizzata
probabilmente da classifiche arbitrarie - avrà per risultato una
scontata valutazione gerarchica. La laurea acquisita in una sede del
nord (meglio se mega/Ateneo) godrà di un appeal esclusivo per
entrare nelle future professioni. Con questo esito a perdere: la
caduta verticale delle iscrizioni dei giovani meridionali -
ricordiamo che l’Italia é maglia/nera in Europa per la percentuale
di studenti iscritti all’università - nelle sedi accademiche
viciniori alle loro dimore: parliamo della popolazione studentesca di
ceto basso e medio. L’altra, la più fortunata economicamente,
potrà trasferirsi nei grandi Atenei del nord.
(b)
Togliere il Vltsu penalizza non solo gli Atenei del sud, ma anche i
micro/campus settentrionali. Le classifiche nazionali relative
all’appeal delle nostre Facoltà universitarie consiglieranno le
famiglie nordiche a scartare i micro/Atenei sotto-casa per iscrivere
i figli nelle popolose e accreditate sedi poste sopra la linea
gotica.
(c)
Ancora un flash sul Mezzogiorno. Togliere il Vltsu significa colpire
a morte l’emancipazione culturale e professionale delle ragazze del
Bel/Paese. E’ facile prevedere la caduta verticale del mondo
femminile
nelle aule accademiche (a partire dalle Facoltà umanistiche del
meridione), con la catastrofica perdita del suo sacrosanto diritto
all’emancipazione culturale ed esistenziale. Come dire,
ghigliottinare il Vltsu conduce alla perdita di frontiere/rosa di
cultura e di democrazia che l’Italia non può permettersi.
Pensierino
della sera.
Perché questa riflessione non lontana da un’arringa? Fermo
restando che è frutto di una convinta e inossidabile nostra visione
della democrazia
e
della scienza,
sarebbe stata sicuramente più soffice se il tandem/virtuoso avesse
preliminarmente pronunciato una/parola di “discontinuità” nei
confronti della riforma neoliberista del Partito della libertà.
Sarebbe stato sufficiente anche un/solo gesto di smarcamento dal
disastro provocato nel nostro illustre mondo accademico!
"Riforma della scuola" n° 14