sabato 30 giugno 2012

Per una università che unisce e non divide


Il valore legale del titolo di studio e altre questioni. 

Franco Frabboni

1. In un decennio è stata snaturata e precarizzata

Con molto vigore, studenti e docenti dei nostri Atenei hanno contrastato la legge universitaria che la Destra berlusconiana ha varato a fari spenti con il tacito consenso della conferenza dei Rettori. Sono provvedimenti che tuttora stanno infestando il mondo accademico di “neoliberismo” incolto e senza futuro: inginocchiato all’altare pagano del Privato, della Competitività, dell’Esclusione e dei Saperi triturati in microcrediti da valutare tramite quiz. Il Ministro Gelmini li ha cavalcati sia per derubare la sua identità democratica e culturale, sia per spogliarlo degli abiti griffati della ricerca scientifica (data ideologicamente in mano a neofiti Atenei privati).
Indossando una tuta aziendalista, il Ministro ha demolito a colpi di piccone l’architettura accademica italiana: ri-centralizzandola, gerarchizzandola e costringendo la libertà della ricerca ad inginocchiarsi al potere economico. Per pervenire a questo traguardo di basso/conio culturale e scientifico, il controllo politico della Gelmini (a) ha colpito a morte l’autonomia della cultura e della scienza; (b) ha accelerato o decelerato singoli settori scientifico-disciplinari: instradati su binari-morti le aree umanistiche e su binari dell’alta/velocità le aree tecnologico-scientifiche; (c) ha separato la didattica (l’insegnamento) dalla ricerca (la produzione scientifica) avviando la metamorfosi degli Atenei in Superlicei professionalizzanti rinchiusi nel culto delle meritocrazia e della selezione.
Questa, la sua pagella-in-rosso. L’Università che ha consegnato al nuovo Governo si presenta povera e nuda, avvolta nello spettro della serie/B europea.
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2. Diamo ali all'università evitando scivoloni

Rispetto a chi li ha preceduti sotto la bandiera del Pdl, sono ben altri i volti - per pulizia morale e sguardo democratico - del Premier Mario Monti e del Ministro della scuola e dell’università Francesco Profumo. Entrambi esondano cultura, competenza, moralità, buone maniere. Mi piacciono, anche perchè pedalano sullo stesso tandem quando promettono consistenti finanziamenti al mondo accademico da cui provengono: per la sua innovazione istituzionale e ordinamentale, per la sua competitività scientifica, per la sua eccellenza negli insegnamenti disciplinari. Sottoscrivo con convinzione questo mio elogio.
Purtuttavia, non posso non esprimere riserve sul tandem/virtuoso quando, con un paio di improvvide esternazioni mediatiche, si è avventurato lungo due viottoli apparentemente transitabili, ma di fatto cosparsi di insidie neoliberiste - in “continuità” con le idee della Gelmini - che potrebbero discriminare e premiare, con criteri arbitrari, il mondo universitario. Fino ad aprire frontiere conflittuali tra settori accademici (tra Facoltà scientifiche e umanistiche) e tra sedi universitarie (tra quelle allocate al nord e quelle allocate al sud del Paese, tra mega e mini Atenei).
Qualche flash sul duplice scivolone del tandem/virtuoso: pericoloso agente - a nostro parere - di divisione e di conflittualità nel più nobile (ma anche più fragile) comparto della scienza e della cultura del bel/Paese.

Uno scivolone che divide

Lo intitoliamo alla prima sortita del tandem/virtuoso: annuncia che la meritocrazia accademica deve premiare i docenti che capitalizzano la loro ricerca sfornando “brevetti”. La tesi: la ricerca di base (tendenzialmente di lunga durata temporale) ha il dovere di trovare un canale “applicativo” che la converta in gallina-dalle-uova-d’oro. Argomentazione discutibile, pur se consapevoli che l’interdipendenza tra il prototipo e la sua riproduzione commerciale é uno degli isterici teoremi della ricerca contemporanea: una sorta di urlo alla luna!
Attenzione, però. L’equazione conquista/scientifica uguale immediato uso/ sociale (per l’innovazione industriale e commerciale nonchè per la qualità della vita nel Pianeta) chiede alcuni chiarimenti preliminari al fine di non relegare a “subalterni” autorevoli campi investigativi geneticamente impossibilitati ad un immediato uso sociale delle loro formule teoriche. Parliamo della ricerca, di lunga durata temporale, prodotta nelle aree umanistiche (storica, letteraria, artistica, filosofica, giuridica, politica, economica, linguistica, psicopedagogica, socioantropologica et al.) che non può avere nel proprio mirino il premio di un “brevetto”. Domanda. Per questo, viene giudicata gerarchicamente inferiore e meno apprezzabile? Di più. Penalizzata da minori risorse tanto da scomparire dal monitor delle gratificazioni ministeriali? Fino al paradosso epistemico che la scoperta di un nuovo congegno fisico o chimico va posta sull’altare della ricerca scientifica, mentre la fondazione di ermeneutiche “inedite” nei settori umanistici deve forzatamente abitare nella polvere degli scantinati della casa accademica?

Uno scivolone che discrimina

Lo intitoliamo alle parole indispettite del Presidente del Consiglio nei confronti delle lobbies/accademiche presenti in Parlamento che sbarrano la strada alla proposta del suo Governo di abolire il Valore legale del titolo di studio universitario (Vltsu).
Certo, la requisitoria seccata del tandem/virtuoso parte da una considerazione veritiera. Questa. Nella prima decade del Secolo, il sistema universitario italiano è stato frammentato - questa, la sua deriva - in un numero grottesco di sedi, sotto-sedi, capanni occasionali di insegnamento mordi e fuggi: il tutto a partire dal nostro Mezzogiorno, da sempre tradito quanto a qualitative offerte accademiche decentrate. Uno spettacolo avvilente, mai denunciato con durezza né dalle cupole universitarie, né dalle forze politiche, né dagli enti locali che plaudivano l’insediamento nelle loro territori delle pattuglie d’avanguardia di docenti - alle prime armi - forzatamente consenzienti anche al cospetto di contesti surreali, privi spesso delle condizioni minime per fare insegnamento e ricerca.
Attenzione, però. Questo arcipelago peninsulare di mega-atenei e di piccole isole accademiche, di accreditati ambienti di studi Secondari superiori e di dequalificate realtà universitarie non può venire sommerso - in modo surrettizio - da un dispositivo di Legge che abroga il Vltsu: purtroppo auspicato anche nelle 100 proposte del sindaco di Firenze Matteo Renzi.
Una sorta di freccia al cianuro che potrebbe cancellare con l’acqua sporca (la moltiplicazione abborracciata delle sedi) anche il bambino (le nuove geografie accademiche: il meridione, i ceti a basso reddito, le ragazze, il settore umanistico).
Scattiamo allora alcune istantanee sulla metafora del bambino, dando luce ai “contesti” e ai “generi” sicuramente penalizzati dalla soppressione del valore legale delle lauree.
(a) Abolire il Vltsu penalizza soprattutto il mondo giovanile del nostro Mezzogiorno. Togliere l’obbligatorietà del titolo di laurea significa che il percorso di studio accademico verrà discrezionalmente apprezzato da chi assumerà i giovani per concorso, per libera contrattazione o altro. In altre parole. Sarà privilegiata, come criterio discriminante, la sede accademica che rilascia il titolo di studio, la cui autorevolezza - pubblicizzata probabilmente da classifiche arbitrarie - avrà per risultato una scontata valutazione gerarchica. La laurea acquisita in una sede del nord (meglio se mega/Ateneo) godrà di un appeal esclusivo per entrare nelle future professioni. Con questo esito a perdere: la caduta verticale delle iscrizioni dei giovani meridionali - ricordiamo che l’Italia é maglia/nera in Europa per la percentuale di studenti iscritti all’università - nelle sedi accademiche viciniori alle loro dimore: parliamo della popolazione studentesca di ceto basso e medio. L’altra, la più fortunata economicamente, potrà trasferirsi nei grandi Atenei del nord.
(b) Togliere il Vltsu penalizza non solo gli Atenei del sud, ma anche i micro/campus settentrionali. Le classifiche nazionali relative all’appeal delle nostre Facoltà universitarie consiglieranno le famiglie nordiche a scartare i micro/Atenei sotto-casa per iscrivere i figli nelle popolose e accreditate sedi poste sopra la linea gotica.
(c) Ancora un flash sul Mezzogiorno. Togliere il Vltsu significa colpire a morte l’emancipazione culturale e professionale delle ragazze del Bel/Paese. E’ facile prevedere la caduta verticale del mondo femminile nelle aule accademiche (a partire dalle Facoltà umanistiche del meridione), con la catastrofica perdita del suo sacrosanto diritto all’emancipazione culturale ed esistenziale. Come dire, ghigliottinare il Vltsu conduce alla perdita di frontiere/rosa di cultura e di democrazia che l’Italia non può permettersi.
Pensierino della sera. Perché questa riflessione non lontana da un’arringa? Fermo restando che è frutto di una convinta e inossidabile nostra visione della democrazia e della scienza, sarebbe stata sicuramente più soffice se il tandem/virtuoso avesse preliminarmente pronunciato una/parola di “discontinuità” nei confronti della riforma neoliberista del Partito della libertà. Sarebbe stato sufficiente anche un/solo gesto di smarcamento dal disastro provocato nel nostro illustre mondo accademico!

"Riforma della scuola" n° 14