giovedì 31 maggio 2012

Formazione continua e valutazione permanente per gli insegnanti

Bijoy M. Trentin

Il concorso è da sempre considerato la ‘vera’ panacea in tema di reclutamento dei futuri docenti: il concorsone in cui riversare lo scibile disciplinare e pedagogico-didattico (rigido e ‘scolarizzato’, nemmeno quello piú moderno nei contenuti e nelle metodologie…) punta tutto solo su alcuni aspetti della professione docente e, quindi, mette tra parentesi tutte le altre dimensioni, ormai riconosciute e valorizzate altrove. TreeLLLe ricorda (2004) che «il concorso nazionale come modalità esclusiva di accesso ai pubblici uffici rappresenta una previsione costituzionale, erede di una tradizione storica e culturale alta e significativa, ma da tempo svuotata e avvilita nella prassi. È dato di esperienza consolidato che negli ultimi decenni sono stati definiti “concorsi per titoli” anche le sanatorie ope legis. Le cose non sono andate molto meglio quando si è trattato di prove di esame. Troppe volte, ormai, si è dovuto constatare che queste procedure: sono divenute una lotteria inaffidabile (il rapporto è di molte migliaia di concorrenti per ogni posto); sono fonte di contenzioso permanente, che genera tempi lunghi e incertezza negli esiti; alimentano pressioni corruttive troppo spesso incontrollabili; individuano i vincitori, quando va bene, su conoscenze teoriche e non su
competenze professionali verificate e su risultati valutati; il costo per ogni addetto reclutato è altissimo, soprattutto se rapportato alla modestia dei risultati; il concorso nazionale è espressione di un monopolio statale sull’istruzione che non esiste più, superato dalla L. 59/97 sull’autonomia e dalla stessa Costituzione (titolo V, art. 117). Per questi motivi, una riqualificazione del reclutamento degli insegnanti deve ormai prescindere – mediante opportuni interventi normativi – dallo strumento del concorso tradizionale. Dare valore concorsuale alla prova di accesso, rigorosamente regolamentata, alla scuola di specializzazione rispetta le norme costituzionali e al contempo la logica non più centralistica». Dunque, il concorso può essere contemplato solo all’interno di un piú ampio quadro di formazione e reclutamento dei docenti, nella prospettiva di una reale seria visione della professione e di uno snellimento delle procedure: l’appiattimento solo sui ‘contenuti’ (il docente come grande contenitore di teorie disciplinari e pedagogico-didattiche) dei concorsi non garantisce che i migliori docenti vengano assorbiti dal sistema scolastico in modo tale da far fruttare al massimo le loro competenze e potenzialità: questa visione enciclopedistica non contempla le relazioni teoria-prassi, docente-discente, scuola-extrascuola ecc., questa idea del sapere e della scuola non prevede due pilastri ormai fondamentali per la costruzione della professionalità del docente: la formazione continua e la valutazione dei processi e dei prodotti. La formazione iniziale degli insegnanti non dovrebbe essere considerata come una corsa a ostacoli o un corso di sopravvivenza: di quanti anni deve essere? quante prove di ‘ingresso’/‘uscita’ devono essere previste? che ruolo e che natura può avere il tirocinio (finora è stato prevalentemente passivo e quello attivo, quando presente, è stato limitato nell’incisività educativa: e non è una questione solo di tipo quantitativo)? Il solito concorso, quando tutto sembra funzionare, può al massimo fotografare la situazione di un determinato momento: si può ancora far dipendere tutta la professionalità docente da quest’unico strumento di selezione (e anche, forse, di reclutamento)? Gli insegnanti per essere sempre aperti al nuovo e al diverso devono essere ‘aggiornati’, cioè devono autoformarsi e essere formati di continuo: i “mediatori”, i “comunicatori” dei saperi, complessi e trandisciplinari, non possono non farsi docenti-ricercatori, cioè attenti osservatori e sperimentatori: dunque, perché riproporre ancora la logica del “concorso per la vita”? I saperi mutano (fortunatamente!) di continuo, quelli scolastici sono sempre piú mescolati a quelli extra-scolastici. È necessario lavorare nella direzione del prosciugamento dell’idea che si fonda sul principio che chi conosce (anche molto bene) una disciplina sa anche insegnarla, capovolgendo tale idea e pensando che chi sa insegnare (veramente) una disciplina la conosce anche con una piú matura consapevolezza epistemologica, metodologica e storica (le tre dimensioni di ogni sapere formalizzato). Affinché anche ciò non rimanga solamente uno slogan, è indispensabile pensare immediatamente alla formazione continua di tutti i docenti mediante lo stanziamento di opportuni fondi: corsi di formazione ‘cattedratici’, libri e strumenti multimediali, seminari e laboratori, tempi e spazi di ricerca-azione e metariflessione, in una cornice di progettualità e intenzionalità sempre rinnovate, che sanno includere, valorizzare e ‘sfruttare’ anche l’imprevisto e l’imprevedibile: la scuola dei “metodi”, pre-confezionati, freddi e anonimi, non può che essere fallimentare, rigida e chiusa nel proprio autoritarismo. Insieme alla formazione (iniziale e continua) vi deve essere la valutazione (iniziale e permanente): la validazione delle teorie e delle pratiche può avvenire solo attraverso adeguati strumenti valutativi qualitativi e quantitativi. Se della professione docente devono essere considerati tutti gli aspetti, non basta, dunque, concentrare l’attenzione sulla parte dichiarativa disciplinare e pedagogico-didattica nemmeno nella prima fase, quella iniziale. Poiché persino la valutazione dei discenti è vissuta (ancora) in modo sanzionatorio, anche quella dei docenti spesso viene intesa solo come “pagella” definitiva e definitoria: la “cultura della valutazione” intende, invece, la valutazione, sempre condivisa e partecipata (è quindi necessario parlare di un vero e proprio “prisma valutativo”), come uno degli strumenti piú efficaci per il miglioramento del sistema e una delle chiavi che consentono di aprire le porte dell’innalzamento costante delle mete finali. In questo orizzonte, il valore taumaturgico del tradizionale concorso viene meno o almeno si assottiglia: è indispensabile capire a cosa possa effettivamente servire o come debba essere utilizzato e gestito nella fase di passaggio dal modello formazione iniziale-concorso ‘salomonico’ a quello formazione continua-valutazione permanente.

 

 

Bibliografia essenziale (2000-2011)

– 2000

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F. Buchberger-B. P. Campos-D. Kallos-J. Stephenson,
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2009

‘Conclusioni del Consiglio, del 12 maggio 2009, su un quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (ET 2020)’, «Gazzetta Ufficiale» n. C 199 del 28/05/2009, pp. 2-10, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2009:119:0002:01:IT:HTML.

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‘Raccomandazioni del Consiglio, del 28 giugno 2011, sulle politiche di riduzione dell’abbandono scolastico (Testo rilevante ai fini del SEE)’, 2011/C 191/01, http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2011:191:0001:0006:IT:PDF.

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Patrick Lallement,
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2012

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"Riforma della scuola" n°14

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