sabato 20 ottobre 2012

La sfida dell'apprendimento permanente


Gian Carlo Sacchi

La proposta di legge di iniziativa popolare sull’apprendimento permanente, presentata dalla CGIL è la più radicalmente innovativa sul versante delle riforme del sistema formativo, essa non si limita infatti ad agire sull’EDA e va oltre la dimensione del lavoro, di cui rappresenta un’evoluzione sia sul piano della formazione delle persone che del mantenimento dei diritti di cittadinanza.

Apprendimento permanente non vuol dire solo lungo tutto l’arco della vita, ma soprattutto un processo educativo, un continuum orientato alla crescita delle persone e delle competenze, obbiettivo di un sistema equo ed inclusivo, che allarga la concezione stessa di apprendimento all’aspetto non formale ed informale, condizioni perché la formazione diventi uno dei cardini dello sviluppo economico e sociale. Si deve pensare dunque a modalità che coinvolgano l’apprendimento tout court, a partire dai giovani. Ai tempi degli accordi Berlinguer – Treu si era cercato di portare il lavoro verso ulteriore formazione anche mediante l’integrazione dei percorsi didattici, che oggi potremmo registrare nell’innovazione costituzionale di “istruzione e formazione professionale”. Con le politiche Gelmini – Sacconi si è tornati indietro, usando l’apprendistato come “ammortizzatore” per il recupero della dispersione scolastica. La longlifelearning come la vuole l’Europa è l’evoluzione di questa visione lavoristica nella prospettiva di un’education che sia integrata nei diversi approcci e disponibile per tutta la vita.

Quindi non si tratta di andare a scuola da vecchi perché non ci si è andati da giovani, utilizzando magari la stessa didattica, ma di operare fin dalla scuola per l’apprendimento permanente con una metodologia più centrata sulla processualità e rivedibilità dell’apprendere piuttosto che come terminalità selettiva.

Si deve lavorare sui “compiti di sviluppo”, sull’orientamento, sulla didattica per competenze, sui crediti formativi; occorre impostare una strategia che offra ai giovani soprattutto la motivazione a proseguire nella formazione: nella scuola di tutti si tratta di “imparare ad imparare”, ma non solo, è il percorso formativo infatti il legame che tiene il rapporto tra le generazioni e pur nel rispetto di metodologie appropriate crea le condizioni per la comprensione reciproca anche attraverso il linguaggio. E’ la prima volta infatti che accade che il parlare dei giovani non è noto ai loro nonni, il che crea culture separate mettendo a rischio lo sviluppo della cittadinanza. A maggior ragione data la notevole presenza di persone provenienti da altri Paesi che vogliono sentirsi cittadini e che quindi devono contribuire a costruire una comunità pur con le loro culture e tradizioni. Li vorremmo vedere più inseriti in un’offerta formativa che ostaggio di test: si sa che i processi linguistici si sviluppano in un contesto di forti relazioni, quale può essere appunto un percorso formativo.

Un secondo punto innovativo è la valorizzazione dei diversi ambienti di apprendimento, sia sul versante lavorativo, sia nell’educazione informale. E’ qui che è ancora più evidente l’efficacia della formazione continua, nella ricaduta sui comportamenti sociali, nel sostegno all’analfabetismo di ritorno e nella riconversione professionale.

In quest’ottica vale anche le proposta di un’ “impresa formativa”, di cui si parla soprattutto dopo aver realizzato positive esperienze di stage, come elemento orientativo; allora anche l’apprendistato può essere utilizzabile, ma ciò che conta per tutti i giovani è l’integrazione tra cultura e lavoro durante il proprio percorso formativo, nella condivisione sociale delle competenze, che può sfociare anche in un contratto, ma che non si giustifica come ambito di recupero per gli alunni a rischio dispersione.

Oggi studio e lavoro devono essere alleati nei percorsi formativi perché quest’ultimo ha bisogno di cultura ed i giovani vivono la loro esperienza sempre più in un’ottica di impegno diretto nella realtà, a confronto con il continuo cambiamento. Si va oltre dunque il valore terminale dei titoli per il continuo riconoscimento dei crediti.



Sul versante dell’informale, contrariamente ad altri Paesi europei, c’è tutto da costruire e la suddetta proposta di legge può aprire questo nuovo orizzonte, attraverso la definizione degli standard nazionali, la certificazione delle competenze e l’accreditamento delle strutture.

Sul fronte degli adulti/anziani in senso stretto poi si persegue la diffusione delle competenze indispensabili al territorio, il mantenimento e l’arricchimento del patrimonio dei saperi che lo caratterizzano e lo qualificano, sia che si tratti di adattabilità delle risorse umane, sia che vogliano essere protagonisti del cambiamento. Prendiamo i “comportamenti sostenibili” oggi non sono solo un problema ambientale, ma comportano scelte di carattere personale, sociale e politico che condizionano la vita della comunità e i diritti di tutti.

L’UE al traguardo del 2020 indica nel 15% la percentuale di adulti che devono aver preso parte ad attività formative: in Italia siamo attorno al 6%. Prevalgono ancora adulti con bassa scolarità e altrettanto bassa è la partecipazione all’EDA, sia a livello personale che professionale. La disponibilità a seguire le predette attività cresce con l’aumentare del titolo di studio e cala con l’età. Lo scarso interesse è anche dovuto alla mancanza di informazione e ad un’azione stimolo (orientamento) per far emergere la “domanda implicita”, così come spesso accade per gli stranieri, in particolare per le donne.

Entrare in formazione è in genere collegato con la presenza di iniziative di carattere sociale, con il rischio però che siano sempre le stesse persone inserite in tali circuiti, lasciando l’altra parte del mondo in situazione di isolamento. La domanda non va allineata sul più forte (più colto, più informato, ecc.); bisogna fare attenzione a quella delle categorie più deboli.

Ci sarebbe da aprire a questo punto una grossa parentesi sulla programmazione territoriale per promuovere davvero l’apprendimento permanente. A parte l’azione delle regioni sulla rete scolastica manca tutto il resto; dall’analisi della domanda e dell’offerta, alla riorganizzazione dei CTP, al riconoscimento dei crediti, alla valorizzazione dell’associazionismo che oggi oltre ad esprimere la propria identità colma un importante vuoto.

Non dimentichiamo che il decreto sull’autonomia scolastica proponeva già raccordi tra le diverse proposte formative che pur nel rispetto delle specifiche competenze pedagogiche e didattiche iniziassero a costruire sui loro territori percorsi legati all’apprendimento permanente. Un’ ulteriore nota negativa è la pressoché totale assenza di quest’ultimo settore dai percorsi di formazione iniziale dei docenti.

L’unità organizzativa fondamentale resta il “circolo di studio”, aggregazione spontanea di persone adulte che si riuniscono in gruppi, stabili nel tempo, per dar vita ad apprendimenti culturali, con o senza docente. Anche se per l’alfabetizzazione di base o l’acquisizione di un titolo di studio il modello è quello della classe come per la scuola tradizionale, in generale l’EDA si muove sempre secondo percorsi di “autoapprendimento assistiti”, i quali dovrebbero sempre di più essere presenti anche per l’apprendimento giovanile, per proseguire appunto lungo l’arco della vita.

Non si può concludere senza il riferimento alle proposte per la “città che apprende”, ispiratrici della predetta proposta di legge. E’ la opportuna rivalutazione di una visione educativa globale che un riferimento troppo economicista dell’educazione ha allontanato, ma che adesso, complice la crisi, occorre riprendere per poter costruire dall’interno del corpo sociale un’efficace rete di relazioni competenti e capaci di valorizzare il “capitale” umano e sociale.

La società è stata da troppo tempo educata dai media, deve riprendere l’iniziativa e adottare, con adeguate politiche di genere, a partire dalle realtà locali e con risorse che derivano anche dalla riconversione dei movimenti fiscali, strategie condivise per lo sviluppo, in cui l’educazione è un pilastro insostituibile.

"Riforma della scuola" n°14

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